Tanto di cappello alla tifoseria granata. Onore al merito a quanti ieri sera hanno impedito che si consumasse una partita-farsa, indegna di un paese civile, che avrebbe stuprato i basilari valori della sportività e dell’onestà. Meglio perderla a tavolino, la partita, che come avrebbe voluto la Lega. Come l’aveva preparata e confezionata fin da quel 18 maggio, con un rinvio fuori da ogni logica e da ogni norma. Materia da Codice penale, più che da codice amministrativo.
Con, infine, lo sconcio di Doveri, un altro arbitro prossimo alla pensione, venuto qui apposta per completare il disegno della Lega per salvare – costi quel che costi – una squadra retrocessa sul campo. Tutto senza onore, senza dignità, senza pudore. Senza vergogna.
Questo teatrino era indegno, non si poteva e non si doveva svolgere. Onore al merito agli ultras che l’anno impedito mentre i protagonisti dello sconcio – da Gravina al presidente Iervolino – fuggivano anzitempo con la coda tra le gambe.
Una doverosa premessa: la retrocessione della Salernitana ci sta tutta, nessuno ci gira intorno. Il campionato è stato disastroso, la squadra è uscita sconfitta nella metà degli incontri. Un bilancio magro ma giusto, per una formazione allestita senza la benché minima logica, con calciatori raccolti chissà dove e chissà come al solo fine di accontentare quella medesima lobbie di procuratori che pure Iervolino – ah! la coerenza! – si era ripromesso di ostacolare in ogni modo.
Anche con loro, il “Presidentissimo” salernitano, esce – proprio come ieri dall’Arechi, trenta minuti prima della fine della gara – sconfitto, umiliato, mortificato e con la coda tra le gambe.
Non ne ha azzeccata una che sia una, il patron di Palma Campania, da quella notte di dicembre in cui – forse ammaliato dai successi (anche economici) dell’amico De Laurentis, che grazie al Napoli è venuto fuori da un crac e s’è arricchito – ha pensato di arricchirsi pure lui col calcio, ancor più di quanto fatto con UniPegaso. Con una manciata di milioni, molto meno del reale valore.
Mal gliene incolse: ne ha sborsato poi a decine, di milioni, fino ad oggi. E gli toccherà probabilmente sborsarne altrettanti, se non muterà radicalmente il suo modus operandi. Con in meno gli introiti dei diritti televisivi, e quindi ancor maggiori difficoltà a far quadrare i conti (ed ora da vendere sono rimasti gli scarti degli scarti).
Voleva innovare il calcio, Danilo Iervolino: ieri ha raccolto i suoi frutti. Dal campo, che ha decretato (non ieri, ma nel corso di questa disastrosa stagione) il suo fallimento; dagli spalti, con una tifoseria con cui s’è rotto ormai ogni rapporto; dalla politica, che l’ha avversato in ogni modo; dagli agenti e dai procuratori che voleva emarginare, e che l’hanno indorato e fritto come un sofficino Findus. Dalla Lega, che ha fatto il bello e cattivo tempo stuprando ogni regola e ogni logica, senza curarsi in alcun conto dell’autorevolissimo, potentissimo e nutritissimo staff legale dell’imprenditore di Palma Campania.
La retrocessione, questa Salernitana – la Salernitana di Danilo Iervolino – se l’è conquistata e meritata tutta, senza se senza ma e senza necessità di prove d’appello. Non si gestisce una squadra di calcio senza uno straccio di programmazione (a proposito…vogliamo dettagliare, Maurizio Milan, quel famoso programma triennale? Si è completato o dobbiamo attenderci di peggio?); ritiri pre-campionato svolti con amici, amici degli amici, giocatori in partenza e quattro ragazzi della Primavera (ma lo avrà finalmente capito questa gente a cosa serve il ritiro pre-campionato?); una squadra allestita elemosinando calciatori in prestito (e quindi valorizzando capitali altrui. Vedasi Amatucci, tanto per dirne uno…). Smantellando il settore giovanile come se non ci fosse un domani. Acquistando solo pochi brocchi e qualche epocale bidone (tipo Lovato, per intenderci; “Cinque Mesi”, l’israeliano sconosciuto, il para-attaccante Raimondo, il coreografico Simy o il mastodontico Cerri, per smuovere il quale ci vuole un’impresa di traslochi in campo).
Insomma, in pochi hanno inanellato così tanti fallimenti uno dopo l’altro, tralasciando quanto avvenuto in panchina (avevamo Sousa, per chi non lo ricordasse…e qualche mese dopo Sottil: hanno capito fin troppo bene l’andazzo, loro).
Si è puntato su amministratori che non solo masticano di calcio meno di zero (siamo nel novero dei numeri negativi…), ma inanellano chiacchiere a vanvera e promesse in cui probabilmente manco loro credono ormai più. Si è puntato su coreografici avvocati attenti a rubare la scena su scelte di mercato e pettegolezzi, più che sulle vertenze legali (qualcuno ci spiegherà mai il senso dell’intervento ad adiuvandum nel deferimento del Brescia, accanto alla Lega? Come lo si spiegherà, questo, dinanzi al Tar? Si dirà che si avversa la Lega nei giorni pari e la si sostiene nei giorni dispari?). Si è puntato su direttori sportivi rapper che sono stati capaci di portare a Salerno star del calcio del calibro di Guasone. Che nessuno conosce, salvo gli steward della tribuna, ritenuto indegno del campo di gioco da ben quattro allenatori. Il che è tutto dire. Tralasciando direttori sportivi ed allenatori che si sono avvicendati negli ultimi tre anni.
Insomma, la retrocessione per questa roba qui ci sta tutta, meritatissima per chi è stato capace di cancellare il calcio professionistico a Salerno, sbagliando, reiterando gli sbagli e incaponendosi con gli stessi errori. Replicando ad ogni obiezione con saccenza, arroganza e presunzione.
Come ci sta pure per la politica nostrana, hai voglia a dire che non ci azzecca. Ci azzecca eccome. La “città europea” merita evidentemente questa squadra e questa società. Perché? Perché i(gli) (im)prenditori che sostiene sono buoni a rastrellare denaro dei contribuenti, smantellare la sanità pubblica e cementificare ogni angolo della città: ma quando si tratta di restituire qualcosa, fanno orecchie da mercanti. Perché questa politica si ostina a non voler sostenere in ogni modo la compagine locale, incaponendosi nel non cedere uno stadio che pure è in avanzato stato di degrado ed una voce di costo per il bilancio comunale. Come se l’Arechi, senza la Salernitana, servisse a qualcosa ed avesse un senso. Meglio rifarlo a spese della collettività – per questa politica – che far investire un privato. Eppure quei milioni risparmiati avrebbero potuto consentire la riqualificazione di tante strutture sportive minori.
Una politica politicante che esce sconfitta anche in questi giorni: poco o nulla ha saputo fare (o ha ritenuto di fare) di fronte ad uno sconcio che rimarrà nella storia del calcio italiano. Si è girata dall’altra parte finanche quando un evidentemente brillo ministro dello sport ha plaudito la scelta di rinviare il play-out, pur senza aver capito un tubo (o fingendo di non capire…) quanto stava avvenendo.
Fossero state diverse, queste scelte, mesi fa, oggi sarebbe un’altra storia. Iervolino proprio come ieri al 15’ del secondo tempo, non potrebbe mai ammetterlo e metterci la faccia. Ma basta risentire le sue dichiarazioni e rileggere il suo volto e i suoi occhi a margine della conferenza stampa in cui si presentò il nuovo Arechi, che chissà se mai vedrà la luce. Manco lo invitarono, il patron della Salernitana, in quella circostanza. Il che è tutto dire.
Di qui a qualche settimana l’Arechi chiuderà i battenti per questo restyling. Chissà se riaprirà più o se alla Salernitana toccherà giocare chissà per quanto al Volpe. Dicesi Volpe, non so se si ha presente. Un campetto forse indegno finanche per la terza serie.
Quando riaprirà – l’Arechi rinnovato – toccherà piantarci ortaggi e verdura. O farci i concerti, sempre che si possa e non si faccia la fine di piazza della Libertà.
Con la Salernitana retrocede anche la peggiore politica di questa città.
Ma non retrocedono i tifosi, che ieri hanno vinto impedendo lo sconcio. Hanno salvato almeno l’onore e la dignità. Bene, bravi, giusto così.
E ricordiamolo questo sconcio, partendo dalla fine. Dagli ultimi atti finali che giustamente la tifoseria ha ritenuto di interrompere. Tralasciando il gol annullato a Ferrari per fallo di mano, prontamente richiamato da quei medesimi addetti al Var che poi – al momento del primo gol della Sampdoria viziato da uno o forse due falli di mano – forse erano in pausa caffè. Manco hanno chiesto una verifica. Tralasciando anche il fallaccio su Amatucci, con un sacrosantissimo cartellino giallo che avrebbe sicuramente dato un altro corso alla partita. O dell’altro fallaccio su Soriano: rigore grosso quanto una casa che non ha meritato manco una veloce verifica del Var, così, tanto per far vedere e per non dare nell’occhio.
Senza dignità e senza pudore, proprio come Doveri “il miglior arbitro italiano”. Che con la Sampdoria ha dimostrato di essere tra gli arbitri della peggior specie. Un arbitro dalla parte del sistema, dalla parte del Palazzo, senza se e senza ma. Anche quando è marcio, disonesto e corrotto.
Da ieri una squadra retrocessa sul campo, non retrocede perché così ha deciso il Palazzo.
Ma ricordiamole, tutte le norme stuprate da questa gentaglia che ha avuto l’ardire e la presunzione di completare l’opera all’Arechi. Ma è stata buttata fuori a calci nel sedere, fuggita via con la coda tra le gambe proprio come Gravina. Gentaglia contro cui dovrebbe agire la Procura della repubblica, e non certo il Tar. Non basta. Non è giusto.
Ricordiamoli, questi sconci che rimarranno nella storia del peggior calcio italiano. Partendo dall’inizio, perché ogni passo è un tassello di questa immane vergogna.
18 maggio: il presidente della Lega di B, ad appena 24 ore dal play-out Salernitana-Frosinone, rinvia sine die la gara. Perché si mormora, si dice, si racconta in giro di una irregolarità del Brescia. Non esiste però alcuna decisione, alcun atto formale. Nulla di nulla.
Siamo in uno stadio di diritto: il 18 maggio il Brescia manco era stato deferito. Se anche lo fosse stato, è bene ricordarlo e sottolinearlo, il deferimento non è una condanna. Finanche l’avvenuto deferimento non avrebbe legittimato una simile decisione. Ma pur in presenza del nulla giuridico, Bedin, presidente della Lega B, subito osannato e applaudito dai suoi compari di merenda, ritiene le circostanze sufficienti per rinviare la gara.
Ci si potrebbe preliminarmente chiedere perché per avviare una inchiesta basata esclusivamente su una verifica formale già compiuta dall’Agenzia delle entrate, in Lega e alla Covisoc ci siano voluti ben due mesi. Ma tralasciamolo, questo dettaglio, per quanto pure faccia altrettanto ribrezzo.
Versamenti non regolari, quelli del Brescia datati 17 febbraio. Irregolari anche quelli della Sampdoria, in verità, ma come si dice: ci sono figli e figliastri. E poi meglio non scoperchiare il vaso di Pandora, se no si potrebbe arrivare finanche all’Inter e chissà cosa accadrebbe.
Bedin annulla il play-out e stupra la prima norma. Non può farlo, non gli compete. Spetta all’Assemblea. Ma tant’è, lo fa. Tanto chi dice niente? I giudici federali di nomina Federcalcio?
In presenza del nulla assoluto se non qualche voce di corridoio, rinvia i play-out. Il Brescia sarà poi, come si sa, deferito e condannato. E si tirerà fuori dal cassetto il reale intendimento della manfrina: il Brescia penalizzato finisce in zona retrocessione ed ecco che il play-out tocca guarda caso la Sampdoria, che tanto ha a cuore Gravina (quando si dice il caso…).
La regolarità, la legalità, e l’onesta, avrebbero dovuto portare a ben altro esito: il 18 maggio non esisteva ragione alcuna per rinviare il play-out che andava quindi assolutamente disputato. È evidente però che se ciò fosse avvenuto poi, ad intervenuta penalizzazione del Brescia, la squadra da ripescare sarebbe stata la perdente del play-out. Insomma, sarebbe stato impossibile rimettere in gioco la Sampdoria.
Ed ecco il disegno criminoso e criminale che si è completato all’Arechi.
Ben hanno fatto i tifosi ad impedirlo e ad impedire che si aggiungesse la beffa al danno. Che si completasse sotto i loro occhi questa messa in scena.
Decidete pure questo a tavolino, come avete fatto fin qui. Ma non in campo, non sotto i nostri occhi. Non prendendovi gioco ancora una volta, ancor di più, delle nostre passioni e dei nostri sentimenti.
E ora? Ora tocca ripartire non da zero, ma da sottozero. La paura è tanta, giacché gli attori in scena sono i medesimi e il teatrino non cambia. Tuoni, fulmini e immancabili promesse. Ma le cose che devono cambiare davvero non cambiano e non cambieranno.
Ripartire dalla C sarà dura. La terza serie è un inferno, non sarà facile risalire, tanto più con i medesimi timonieri. L’auspicio è che qualche imprenditore – o magari più d’uno – si senta ferito nell’orgoglio e tenti…ci provi. Rispolverando anche quella idea di azionariato popolare che a Salerno troverebbe sicuramente proseliti e che magari renderebbe più agevoli progetti che abbraccino anche la gestione dell’Arechi, perché nessuna squadra di calcio sopravvive di soli incassi al botteghino (tanto più quando, come ha fatto la Salernitana, non ha tenuto in alcun conto delle potenziali plusvalenze, preferendo valorizzare calciatori altrui e smantellando il settore giovanile).
Occorre uno scatto d’orgoglio che restituisca la Salernitana ai salernitani. A chi oltre ai soldi, possa metterci anche e soprattutto cuore e passione. Perché chi ci ha portato all’inferno, difficilmente saprà tirarcene fuori.